E’ legittimo chiedersi se sia coerente rappresentare, ovviamente su diversa scala, una qualche analogia riformista tra l’imprinting politico del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e quello della Governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani.
Io credo che al di là delle metodologie di comunicazione e di gestione dell’immagine politica, in entrambi i casi improntato ad un mix di apparente forza, non celata arroganza e riconosciuto decisionismo, vi sia nel DNA culturale e ideologico dei 2 protagonisti una evidente e marcata differenziazione.
Non a caso il primo viene dall’esperienza dell’area popolare ex democristiana ben sintetizzata nello scoutismo, la seconda da una appartenenza forte alla sinistra post marxista e potrebbe agevolmente essere arruolata nella squadra dei piccoli Pionieri di comunista memoria.
In verità non si può non riconoscere a Renzi una sincera, ancorché pasticciata, volontà riformatrice che lo ha portato spesso ad assumere posizioni anche di forte rottura con la Sinistra più a Sinistra.
Tant’è che per citare un dato oggettivo, a livello parlamentare, Sel non fa parte della maggioranza di Governo e si è formato il Gruppo di S.I., critico nei confronti delle politiche “troppo poco di sinistra” del Presidente del Consiglio.
Diversa è l’analisi relativa agli atti politici di Debora Serracchiani.
Mentre Renzi andava a colazione ad Arcore, l’Eurodeputata PD ironizzava cinicamente sulla statuetta del Duomo di Milano scagliato in faccia al Cavaliere al quale augurava per regalo di Natale “la Mole Antonelliana”.
E’ agli atti il suo appello al caso “Beppe Grillo” invitando il M5S ad un fronte comune contro questa destra, ricordiamoci quando la Serracchiani lisciava il pelo ai Pugliesi che lanciavano il Referendum contro le Trivelle, salvo poi cambiare rotta e invitare la gente a stare a casa, oppure quando si vergognava del voto PD che salvava il senatore NCD Azzolini, per poi diventare garantista e dire che sulle intercettazioni bisogna rivedere le regole.
Insomma tutto il contorno di un autentico imprinting riformista, un mix di sinistra d’antan, opportunismo politico e giustizialismo giacobino.
In conclusione, se Renzi è “Jobs act” Serracchiani è Camusso con tutto ciò che ne consegue.
Per cui, accade che, il Sel Lauri è il vero capogruppo guardiano della rivoluzione in Consiglio Regionale e l’assessore più coerentemente a sinistra della giunta, Loredana Panariti è espressione di Sel e occupa la posizione strategica per lo sviluppo che è quello della formazione e del lavoro.
Da ciò ne consegue che, al netto di Riforma della Sanità e delle UTI, su cui il tempo si incaricherà di esperire le opportune valutazioni, che sono pronto a scommettere che non saranno positive, la Regione è ferma nelle OOPP, è ferma nella modernizzazione del proprio suolo, è ferma nell’operatività quotidiana, è ferma nelle riforme di cui ci sarebbe bisogno, a cominciare da quelle della burocrazia.
Il vero riformismo può attendere e tanti saluti al “torniamo a essere speciali”.
Renzo Tondo